Quando
si tratta di avvalorare la presunta superiorità maschile, non ci sono ideologie
che tengano.
Ricerche dimostrano che le
donne hanno migliori capacità organizzative, propensione al lavoro di gruppo,
curiosità, saggezza… ma chissà perché mai, non riescono spodestare l’outsider dal trono dalla politica che
conta?
Le due abrogate negli ultimi tempi, Hillary e Ségolène Royal, confermano che lo scettro del potere appartiene, ancora, agli uomini. Ma… con qualche rivincita!
Le due abrogate negli ultimi tempi, Hillary e Ségolène Royal, confermano che lo scettro del potere appartiene, ancora, agli uomini. Ma… con qualche rivincita!
L’unica donna che sembrava
in grado di strappare, dalla mano di un maschio, la presidenza degli Stati
Uniti, non c’è l’ha fatta. Per un po’, Hillary Clinton,
titolare della potente macchina elettorale democratica, personalità esperta e
di comando, sembrava di riuscire mettere al centro dei valori, la dignità e la
saggezza della donna. Ha galvanizzato la speranza che ogni donna del pianeta
accarezza nel suo intimo: vedere una donna nel comando della più potente
nazione del mondo.
Negli ultimi anni, molte donne hanno tentato. Le due preminenti protagoniste - un’americana, l’altra francese – sembrava che si fossero messe d’accordo, sfruttando differenti stratagemmi per far fronte all’imperialismo maschile: l’americana Hillary incarnava il modello femminile di potere tipicamente maschile, è stata la personificazione della freddezza irrimediabile della donna di potere di cui il paese ha bisogno per essere guidato con mano ardita. La francese Ségolène, invece, rappresentava la figura dolce, materna e affettuosa, come un grembo caldo, pronta per accogliere i problemi e partorire le soluzioni. Nei suoi appelli alla partecipazione, non ha mancato nemmeno quello sentimentale – e quasi patetico – “j’ai besoin de vous”.
Negli ultimi anni, molte donne hanno tentato. Le due preminenti protagoniste - un’americana, l’altra francese – sembrava che si fossero messe d’accordo, sfruttando differenti stratagemmi per far fronte all’imperialismo maschile: l’americana Hillary incarnava il modello femminile di potere tipicamente maschile, è stata la personificazione della freddezza irrimediabile della donna di potere di cui il paese ha bisogno per essere guidato con mano ardita. La francese Ségolène, invece, rappresentava la figura dolce, materna e affettuosa, come un grembo caldo, pronta per accogliere i problemi e partorire le soluzioni. Nei suoi appelli alla partecipazione, non ha mancato nemmeno quello sentimentale – e quasi patetico – “j’ai besoin de vous”.
Ségolène Royal,
per antonomasia, Hillary Cliinton
Nessun punto in comune,
quindi?
Oh Sì! L’ironia del destino
vuole che, due donne forti, competenti e
preparate, abbiano qualcosa in comune: un compagno potente ma fedifrago
che le ha messe in una situazione dolorosa e umiliante.
Hillary, moglie
dell’ex presidente Bill Clinton subì
in silenzio lo scandalo Lewinsky.
Rimase al fianco di suo marito subendo ironie e frecciate. Anni dopo gustò la
sua rivincita con la nomina a segretario di Stato. Ségolène Royal, è stata candidata del suo partito alla carica di Presidente della Repubblica nelle elezioni
del 2007, battuta da Nikolas Sarcozy,
ex compagna di François Hollande, ex
primo segretario del Partito socialista e Presidente della Repubblica francese
dal 2012, con il quale ha avuto quattro figli. Ha subito gli
attacchi della donna che ha preso il suo posto al fianco del presidente,
ed è rimasta in silenzio durante lo scandalo Gayet, la giovane attrice per la quale Hollande ha lasciato la compagna Valerie Trierweiler.
Ora gusta la sua rivincita con l’incarico
di ministro dell’Ecologia francese.
Con
eleganza e profondo decoro, ambedue hanno dovuto assistere alle scappatelle del
marito, senza scenate.
Un
altro elemento accomuna le due sconfitte di modelli tanto divergenti: due
leadership femminili si sono infrante contro lo scoglio di due rotture politiche, due credibili idee di cambiamento radicale,
incarnate da maschi impegnati nella recita del profetismo politico. G. Ferrara.
Dove hanno sbagliato le donne, allora? G. Ferrara allude: Le elezioni si possono vincere, cavalcando e
governando le paure sociali, strizzando l’occhio ai dubbi e allo smarrimento
della fola anonima. Ma le elezioni si possono vincere, anche seminando speranza
e predicando con afflato spirituale la sconfitta di ogni tipo di dubbio e di
paura. E’ strano, ma incubi e sogni, nel pallottoliere elettorale si
equivalgono.
Le donne sono
troppo belle per il Nobel!
Supponendo
che le donne non hanno ancora raggiunto l’indice di Empowerment per
competere a livello maschile, por non sapere, ancora, gestire e far convivere,
armoniosamente, incubi e sogni, come ha dichiarato Ferrara, ma…
sognare i premi Nobel credo
che non comporta paura e non è per niente un incubo. Che cavolo di
classificazione si potrebbe dare, allora, alle donne scippate del premio da
colleghi maschi, poco galanti ma scaltri? Come mai, di oltre 500 premi Nobel
scientifici, assegnati, dal 1901 fino a 2008, solo 11 – Ho detto SOLO 11 –
sono stati attribuiti a donne, essendo due alla stessa persona: Marie Curie? Questo
basta a far capire quanto impervio sia stato il percorso femminile nel mondo della
scienza o della politica ad appannaggio maschile.
“Più che una sfortuna, un’automutilazione di
cui la ricerca soffre ancora” – dice Nicolas Witkowski, fisico
francese, nel suo libro Troppo belle per il Nobel.
Solo nel 2009
le donne si sono prese la rivincita. Non era mai successo prima, che nello
stesso anno cinque donne ricevessero il prestigioso premio Nobel (quattro per
le scienze e uno per la letteratura) e, per la prima volta da quando è nato il
Nobel per l'economia, il riconoscimento è stato assegnato a una donna, la
statunitense Elinor Ostrom.
“Le menti non hanno sesso” – diceva Marie Meurdrac, nel 1700. È già. Eppure, nonostante la rivoluzione delle donne negli anni
70, ancora oggi c’è chi sostiene che il cervello femminile sia inadatto alla
matematica (e già che ci siamo, pure alla politica), come ha fatto il rettore
dell’Università di Harvard, poi, costretto a dimettersi. Almeno quello!
La biologa Silvia Garagna ha un’opinione
diversa:
Sebbene motivate, (le donne) vivono in modo conflittuale il loro ruolo
tra carriera e famiglia: la società le colpevolizza e nel momento più
produttivo della loro carriera, si fanno da parte. Su di lei, incombono
stereotipi che finiscono per interiorizzare, autoescludendosi: poco
equipaggiata psicologicamente per sopravvivere nel mondo dell’imperialismo
maschile, troppo emotiva, poco aggressiva e competitiva. Insomma, non adatta a
posizione di leader. Dichiara Garagna.
La cosa più
importante sarebbe non creare uno stereotipo di leader femminile a cui le donne
si sentano obbligate ad aderire ma avere un’alternativa al modello di leader
maschile in cui molte donne si riconoscono.
La capacità
trasformativa gestita in modo costruttivo ed eticamente responsabile non ha
prerogative di genere ma, come esseri umani, dovremmo dimostrare più spesso che
il “potere delle persone” è superiore alle “persone di potere”.
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