giovedì 24 agosto 2023

La biologia quantistica svela antichi misteri della vita

 


Fino a poco tempo fa lo strano mondo dei quanti e la complessità sfuggente della vita sembravano due domini distanti, senza alcun punto di contatto. Ma la «biologia quantistica» – questa nuovissima scienza – inizia a intrecciare le cose, svelando antichi misteri.

Sulla base di recentissimi esperimenti, rigorosi e ripetibili, si stano forse cominciando a capire cosa succede nel profondo delle cellule vivente, e finalmente avviando la comprensione di fenomeni che per secoli erano parsi inspiegabili, proprio attingendo al bizzarro e contro-intuitivo mondo dei quanti.

L’incredibile forza della fotosintesi, ad esempio, sembra dovere la sua inarrivabile efficienza al fatto che, a un certo punto del processo, le particelle subatomiche coinvolte si trovano contemporaneamente in due punti distinti grazie ai fenomeni quantistici.

Anche il funzionamento degli enzimi, la base stessa del nostro essere in vita, deve la sua perfezione quasi miracolosa al fatto che nel corso della reazione chimica alcune particelle sembrano «svanire» da un punto per «materializzarsi» istantaneamente da un’altra parte.

Le strane proprietà del mondo quantistico su esseri viventi

Una nuova analisi di un recente esperimento su batteri fotosintetici suggerisce che i ricercatori potrebbero essere riusciti a porne alcuni in uno stato di entanglement, mostrando per la prima volta l'effetto delle strane proprietà del mondo quantistico su esseri viventi e segnando il passaggio della biologia quantistica da ipotesi teorica a realtà tangibile.

Il mondo quantistico è strano. In teoria, e in una certa misura in pratica, i suoi principi richiedono che una particella possa apparire in due luoghi contemporaneamente - un fenomeno paradossale noto come sovrapposizione - e che due particelle possano diventare "entangled", condividendo informazioni su distanze arbitrariamente grandi attraverso un meccanismo ancora sconosciuto.

L'esempio forse più famoso di stranezza quantistica è il gatto di Schrödinger, un esperimento ideale proposto da Erwin Schrödinger nel 1935. Il fisico austriaco immaginava che un gatto posto in una scatola insieme a una sostanza radioattiva potenzialmente letale potesse, per le strane leggi della meccanica quantistica, esistere in uno stato di sovrapposizione ed essere sia morto che vivo, almeno fino all’apertura della scatola e all’osservazione del suo contenuto.

Questo concetto è stato convalidato sperimentalmente innumerevoli volte su scale quantistiche. Alla scala del nostro mondo macroscopico apparentemente più semplice e di sicuro più intuitivo, tuttavia, le cose cambiano. Nessuno ha mai visto una stella, un pianeta o un gatto in uno stato di sovrapposizione o di entanglement quantistico. Ma fin dalla formulazione iniziale della teoria quantistica, all'inizio del XX secolo, gli scienziati si sono chiesti dove si incrociano esattamente i mondi microscopici e macroscopici. Quanto può essere grande il regno quantistico? E potrebbe essere abbastanza grande perché i suoi aspetti più strani influenzino profondamente e chiaramente gli esseri viventi?

Effetti quantistici nel processo di fotosintesi

Negli ultimi due decenni il campo emergente della biologia quantistica ha cercato di rispondere a queste domande, proponendo ed effettuando su organismi viventi esperimenti che potrebbero essere in grado di sondare i limiti della teoria quantistica. Questi esperimenti hanno già dato risultati allettanti ma non conclusivi.

Alcuni ricercatori hanno mostrato che il processo di fotosintesi - in cui gli organismi producono sostanze nutritizie usando la luce - può comportare alcuni effetti quantistici. Il modo in cui gli uccelli navigano o fiutano gli odori suggerisce che gli effetti quantistici possano verificarsi in modi insoliti all'interno degli esseri viventi. Ma questi studi toccano solo la superficie del mondo quantistico. Finora, nessuno è mai riuscito a indurre un intero organismo vivente - nemmeno un batterio unicellulare - a mostrare effetti quantistici come l'entanglement o la sovrapposizione.

Di conseguenza, un nuovo articolo di un gruppo di ricercatori dell'Università di Oxford sta facendo aggrottare parecchie fronti per le sue affermazioni sulla riuscita di un esperimento di entanglement fra batteri e fotoni, particelle di luce.

Il 'batterio di Schrödinger’

In un esperimento condotto nel 2016 da David Coles e colleghi dell'Università di Sheffield, avevano sequestrato, tra due specchi diverse, centinaia di batteri verdi sulfurei, che sono fotosintetici, per poi ridurre via via la distanza tra gli specchi fino a poche centinaia di nanometri, molto meno della larghezza di un capello umano. Facendo rimbalzare della luce bianca tra gli specchi, i ricercatori speravano che le molecole fotosintetiche all'interno dei batteri si accoppiassero - o interagissero - con la cavità, il che significava essenzialmente che i batteri avrebbero continuato ad assorbire, emettere e riassorbire i fotoni che rimbalzavano. L'esperimento ha avuto successo: fino a sei batteri si sono accoppiati in quel modo. Sostengono però che i batteri non hanno soltanto interagito con la cavità. Nella loro analisi dimostrano che il segno energetico prodotto nell'esperimento potrebbe essere coerente con i sistemi fotosintetici di batteri entangled con la luce all'interno della cavità.

In sostanza, sembra che alcuni fotoni colpissero e mancassero contemporaneamente molecole fotosintetiche all'interno dei batteri, un segno distintivo dell'entanglement. "I nostri modelli mostrano che il fenomeno registrato è la firma di un entanglement tra la luce e certi gradi di libertà all'interno dei batteri", affermano.

Secondo il coautore dello studio Tristan Farrow, anche lui di Oxford, è la prima volta che un simile effetto è stato intravisto in un organismo vivente. "È certamente la chiave per dimostrare che siamo in qualche modo vicini all'idea di 'batterio di Schrödinger'", afferma. E suggerisce un altro potenziale esempio di biologia quantistica in natura: i batteri sulfurei verdi vivono nelle profondità dell'oceano dove la scarsità di luce, fonte di vita, potrebbe addirittura stimolare adattamenti evolutivi quantomeccanici per aumentare la fotosintesi.

Queste controverse affermazioni, tuttavia, vanno prese con molta cautela. In primo luogo, in questo esperimento la prova a favore dell’entanglement è circostanziale, e dipende da come si sceglie di interpretare la luce che attraversa ed esce dai batteri confinati nella cavità.

Gli scienziati riconoscono che i risultati dell'esperimento potrebbero essere spiegati anche da un modello classico privo di effetti quantistici. Peraltro, i fotoni non sono affatto classici: sono quantistici. Eppure, un modello "semi-classico" più realistico che usi le leggi di Newton per i batteri e quelle quantistiche per i fotoni, non riesce a riprodurre il risultato reale che Coles e colleghi hanno osservato nel loro laboratorio, il che suggerisce che gli effetti quantistici fossero in atto sia nella luce che nei batteri. La prova è un po' indiretta, ma penso che sia così solo perché stanno cercando di essere rigorosi ed escludere cose e rivendicare troppo, dice James Wootton, che si occupa di informatica quantistica all'IBM Zurich Research Laboratory.

L'altro caveat: le energie dei batteri e del fotone sono state misurate collettivamente, non in modo indipendente. Questo - secondo Simon Gröblacher della Delft University of Technology, nei Paesi Bassi, che non ha preso parte a questa ricerca - è in qualche modo un limite. "Sembra che stia accadendo qualcosa di quantistico", dice. "Ma… di solito, se si dimostra l'entanglement, bisogna misurare i due sistemi in modo indipendente" per confermare che qualsiasi correlazione quantistica tra essi sia autentica.

Nonostante queste incertezze, per molti esperti il passaggio della biologia quantistica da sogno teorico a realtà tangibile è una questione di “quando”, non di “se”.

Al di fuori dei sistemi biologici, le molecole, considerate in isolamento e collettivamente, hanno già mostrato effetti quantistici in decenni di esperimenti in laboratorio, quindi la ricerca di questi effetti per molecole simili all'interno di un batterio o addirittura del nostro stesso corpo sembrerebbe abbastanza sensata.

Negli esseri umani e in altri grandi organismi multicellulari, tuttavia, simili effetti quantistici molecolari in genere dovrebbero essere insignificanti, ma una loro manifestazione significativa all'interno di batteri, molto più piccoli, non sarebbe una sorpresa troppo sconvolgente. Sono un po' stupito per la sorpresa suscitata da questa scoperta, dice Gröblacher. Ma è ovviamente eccitante se lo si può dimostrare in un sistema biologico reale.

Gröblacher ha progettato un esperimento che potrebbe mettere in uno stato di sovrapposizione un minuscolo animale acquatico, un tardigrado, cosa molto più difficile che creare un entanglement fra i batteri e la luce, dato che i tardigradi hanno dimensioni centinaia di volte maggiori.

Farrow sta cercando modi per migliorare l'esperimento sui batteri; lui e i suoi colleghi sperano di mettere in entanglement due batteri, e non con la luce in modo indipendente. Gli obiettivi a lungo termine sono fondazionali e fondamentali, dice Farrow. Si tratta di capire la natura della realtà e se gli effetti quantistici siano utili alle funzioni biologiche. Alla radice delle cose, tutto è quantistico, aggiunge, alludendo alla questione se gli effetti quantistici abbiano un ruolo nel funzionamento degli esseri viventi.

Potrebbe essere, per esempio, che la selezione naturale abbia trovato il modo di sfruttare naturalmente i fenomeni quantistici, come nel già citato esempio della fotosintesi in batteri delle profondità marine povere di luce. Ma per arrivare a fondo di tutto ciò è necessario cominciare dalle piccole dimensioni.

Le ricerche si sono costantemente orientate verso esperimenti a macrolivello, con un recente esperimento che ha coinvolto, con successo, milioni di atomi. Provare che le molecole che compongono gli esseri viventi mostrano effetti quantistici significativi - anche se per scopi banali - sarebbe un passo successivo fondamentale. Esplorando questo confine fra mondo quantistico e classico, gli scienziati potrebbero avvicinarsi a capire che cosa significa essere macroscopicamente quantistici, se una tale idea fosse vera.

Il vento solare ha proprietà multidimensionali – CapitoloXVIII

La realtà attraverso la meccanica quantistica – Capitolo 16


Fonte: Jonathan O'Callaghan / Scientific American

Bollatiboringhieri

giovedì 10 agosto 2023

Siamo tutti Uno - Collegati da un campo morfogenetico

 


“Siamo parte di una ‘memoria collettiva’ alla quale tutti noi ricorriamo; inconsciamente siamo tutti collegati con ogni altra cosa ed ogni altro essere…” Jung

Il campo morfico, o morfogenetico, è un campo di informazione, una sorta un’unica coscienza collettiva che contiene tutte le indicazione relative a una determinata specie.

È un campo a cui tutti sono collegati e con il quale tutti entrano in relazione (risonanza morfica).

Nella fisica moderna vi sono concetti che si applicano a molte entità non materiali, denominate campi, che, pur non essendo di natura tangibile, sono tuttavia strettamente correlati alla materia.

Si ipotizza quindi che la vera mente potrebbe essere un campo non materiale in grado di produrre mutamenti fisici nella propria realtà.

Anche se apparentemente questa possibilità appare irragionevole e metafisica, in realtà con i nuovi sviluppi della fisica quantistica l'irrazionale ha finito per essere ammesso e le interazioni tra il non materiale e il materiale sono ormai date per scontate. Ciò che viene chiamata mente potrebbe coincidere con un potenziale quantistico situato a un livello energetico più sottile del cervello biologico, e per questo da esso stesso filtrato e limitato.

Il fisico Henry Margenau ipotizza la Mente Universale come l'esistenza di un'unica grande mente collettiva che si manifesta individualmente tramite ogni essere umano, comprendendo una buona parte di caratteristiche comuni e alcune peculiarità individuali.

“La sua conoscenza comprende non solo l'intero presente ma anche tutti gli eventi passati. Più o meno come il nostro pensiero può esplorare l'intero spazio e giungere a conoscerlo, così la Mente Universale può viaggiare avanti e indietro attraverso il tempo a volontà”.

L’ipotesi morfogenetica

Sulla base delle ricerche di Douglas Mac Dougall, dell’università di Harvard, Rupert Sheldrake ha sostenuto l’ipotesi di forze immateriali le quali sarebbero generatrici della forma in seno alla materia. L’ipotesi morfogenetica, provata scientificamente nel 1998, presuppone l’esistenza di una ‘memoria collettiva’ diffusa in tutto l’universo, indipendente dal supporto cerebrale e tale, quindi, da sopravvivere alla morte.

Per questa loro natura, i campi di risonanza morfica, portatori di memoria, sono retti da leggi che si sottraggono allo spazio-tempo, richiamando piuttosto quelle dell’affinità e delle corrispondenze: “tra organismi esiste un misterioso collegamento di tipo telepatico, oltre la dimensione spazio-temporale”. I campi possiedono una memoria intrinseca (individuale + collettiva), si basano su ciò che è accaduto in precedenza e sono portatori di abitudini e caratteri ereditari.

Sheldrake ritiene anche che i campi morfici di ciascun individuo sono in collegamento con quelli di tutti gli altri individui. Ogni pensiero è energia e come tale viene ancorato in questi campi elettromagnetici di memorizzazione. Così avviene anche per qualsiasi “azione” o “avvenimento”. Ciò significa che in essi si trova ancorato e memorizzato tutto il sapere dell’umanità fin dalle origini e che caratterizzano ed influenzano tutte le forme fisiche e persino il nostro comportamento. Le cose che impariamo, pensiamo e diciamo, influenzano anche gli altri per mezzo della risonanza morfica.

Le più recenti scoperte della biologia, sembrano convalidare l’ipotesi di un meccanismo per cui energie “ordinatrici” ancora sconosciute operano sulla materia organica, organizzandola e promuovendo gradualmente in essa la coscienza.

Siamo tutti Uno - Essere consapevoli che tutto è uno e che anche noi siamo uno con il tutto, non è in effetti un concetto facile da digerire.

Ogni cellula vibra di una luce propria, ognuno ha un destino da compiere, ma questo non potrà mai essere separato completamente dal resto del creato. Perché tutti facciamo parte della stessa e unica Energia e Vibrazione.

Il senso della nostra universalità è indebolito dalle limitazioni fisiche

Qual è quindi il motivo per cui ogni essere umano si sente così individuale e localizzato nel proprio corpo, avvertendo un profondo senso di limitazione allo spazio e al tempo presente? Henry Margenau afferma che il senso della nostra universalità è indebolito dalle limitazioni fisiche del corpo, dalle costrizioni organiche del cervello.

Una delle limitazioni più angosciose è il nostro modo rigido di percepire il tempo. Margenau usa la metafora di «fessura di tempo» per enfatizzare la nostra capacità di vedere solo una fetta piccolissima dell'intero panorama del tempo. Così come possiamo vedere soltanto una banda ristretta dell'intero spettro elettromagnetico che chiamiamo «luce», analogamente possiamo percepire solo un esiguo frammento del tempo, che chiamiamo «l'adesso».

Questa limitazione nella coscienza della totalità del tempo contribuisce al nostro senso di essere intrappolati e alla deriva nel tempo, di essere limitati a un solo arco di vita e di sentirci disperatamente mortali, destinati alla morte.

Un'altra grave limitazione che c‘impedisce di usare le nostre menti in senso universale e non localistico è ciò che Margenau chiama il «muro personale».

Il muro personale «produce il senso prevalente d'isolamento individuale e ci dà un'identità oltre che un ego». Il peggiore dei suoi possibili effetti è quello di creare un senso d'isolamento e di solitudine, che può essere totalmente oppressivo e morboso, perfino mortale.

Eppure, queste limitazioni non sembrerebbero assolute, ed è probabile che molte persone nell'intero corso della storia, come i mistici, siano riuscite a superarle.

L'abbattimento totale dei muro personale e l'allargamento all'infinito della fessura di tempo possono permettere a una persona di fondersi con l'Uno. Margenau descrive le sensazioni che tale fusione potrebbe suscitare: "Ciò che intendo dire è che il sé conscio tornerà alla sua origine presunta, cioè la Mente Universale, e da ciò sembra derivare che, come parte di Dio, il sé conscio ha la facoltà di rivisitare tutti gli aspetti della sua esperienza terrena, e forse anche la possibilità di dimenticarli e di consegnarsi all'oblio (o addirittura all'estinzione). Ma il pensiero cruciale, l'attesa di una riunione con Dio, contiene già una qualche consolazione, e la speranza, anzi, la promessa della morte come esperienza unica".

Il Nostro Potere Perduto - Capitolo IX

Un campo dove abitano i pensieri – Capitolo 9


Fonte:

fisicaquantistica.it/

scienzaeconoscenza.it/

performancetrading.it

venerdì 4 agosto 2023

Il segreto dei SuperAgers, gli 80enni con “super memoria”

 



Una delle conseguenze più evidenti e devastanti della vecchiaia è il declino delle facoltà cognitive. Il corpo umano, e con esso il cervello, cambia nel corso degli anni. Nel tempo, il nostro cervello "inizia a perdere consistenza" perché la sua attività inizia a rallentare e i ricordi diventano meno affidabili. Questa è semplicemente una conseguenza dell'invecchiamento ed è normale.

C'è però un gruppo di persone over 60 che non segue questa regola e che sembra non invecchiare mai, almeno dal punto di vista cerebrale, dove il cervello sembra non risentire del passare del tempo: anzi , le sue capacità cognitive rimangono simili a quelle dei ventenni.

Gli scienziati, dopo aver condotto diverse ricerche in materia, hanno definiti “SuperAgers” agli over80 che sfoggia performance mnemoniche, una funzione cognitiva paragonabile a quella di un individuo di mezza età. Questo sarebbe dovuto a un gruppo di neuroni più sani e più grandi presenti in una precisa area del cervello determinante per il funzionamento della memoria.

Le prime ricerche che hanno permesso di individuare questo gruppo di anziani sono state condotte alla Northwestern University, uno degli atenei più prestigiosi degli Stati Uniti. I partecipanti, reclutati all’interno della comunità, erano adulti di 80 anni o più, con le funzioni cognitive intatte.

Gli esperimenti hanno dimostrato la presenza di una migliore memoria e velocità di reazione agli stimoli mentali rispetto alla persona media di questa età.

La nuova rilevazione della Northwestern University di Chicago ha evidenziato che i SuperAgers perdono volume cerebrale più lentamente rispetto ai loro coetanei. Per questo potrebbero essere più protetti dal morbo di Alzheimer e dalle altre forme di demenza che colpiscono gli anziani.

È stato dimostrato, attraverso la risonanza magnetica, che all’interno del gruppo degli over 80 la corteccia rimane più spessa e diminuisce più lentamente rispetto agli altri anziani. Normalmente, infatti, a partire dai 50-60 anni gli adulti perdono il 2,24% del volume cerebrale all’anno, mentre i SuperAgers solo l’1,06%.

Questa scoperta integra un altro studio secondo cui il cervello dei SuperAgers ha molti più neuroni von Economo, un tipo di cellula cerebrale che potrebbe dare vantaggi intuitivi e una comunicazione più rapida fra ragionamento ed emozioni, altro fattore chiave per avere buona memoria.

Nel cervello degli ottantenni che ricordano tutto ci sono poi tre volte meno «grovigli neurofibrillari di proteina tau», una definizione complicata che identifica formazioni anormali di proteine responsabili dell'invecchiamento cognitivo. Molte delle conclusioni alle quali sono arrivati gli scienziati fanno pensare che SuperAger si nasca e non si diventi, e che le caratteristiche che ritardano il deterioramento del cervello siano scritte nel dna che ereditiamo alla nascita. Ma non è del tutto vero. Sono determinanti anche lo stile di vita e la volontà di continuare a essere attivi, socialmente, fisicamente e intellettualmente, anche nella terza età. Il cervello si spegne se smettiamo di usarlo, ma se lo teniamo allenato ogni giorno anche solo con un libro, un cruciverba e una telefonata agli amici, continuerà a funzionare come fanno quasi sempre le cose di cui si ha avuto cura.

Invecchiamo perché ci crediamo! - Capitolo VIII

I segreti della ghiandola pineale – Capitolo 12