“I
processi derivanti dal
sistema monetario, corrompono
la società e alienano le persone dal loro vero potenziale”.
Da quando San
Benedetto ha rifiutato l’idea che un monaco potesse vivere di solo
ascetismo grazie alle elemosine, stabilendo la regola ora et
labora, si è sviluppata l’idea che il lavoro manuale
nobilitasse l’uomo. Certo, non lavoravano i potenti, e il potere ha
fatto sì che proprio un monaco, un agostiniano di nome Martin
Luther, si distaccasse dall’idea di una salvezza per grazia
senza bisogno di agire per sostenere che si era già predestinati
alla salvezza o alla dannazione
Nel Cinquecento,
l’epoca di Lutero e Calvino, a meno che non si
nascesse nobili, per avere successo e accumulare ricchezza l’unico
modo – non esistendo la finanza speculativa come la conosciamo
oggi – era lavorare. Ma il lavoro è un
fastidio necessario, una sorta di pegno da dare di malavoglia alla
vita per assicurarsi il diritto ad esistere.
“Lavorare, ormai,
è diventato non un modo per realizzare la propria persona, ma il
mezzo per procurarsi i soldi per vivere per lavorare per vivere,
alimentando un circolo vizioso, creando uno squilibrio tra i nostri
desideri più profondi e le risorse per realizzarli.
A cosa ci siamo
ridotti, quindi? Con il tempo abbiamo inventato strumenti che
potevano farci lavorare meglio, con meno fatica e, per il fabbisogno
che abbiamo, anche meno. Avremmo potuto dedicare più tempo alle
passioni, a sentirci bene, alla ricerca della felicità e del
miglioramento. Siamo finiti, purtroppo, a dannarci sempre di più,
per il risultato minimo del sopravvivere. Come se in secoli di
evoluzione sociale non si potesse far altro che ritornare alla
preistoria.” Simone Moricca
L’enciclopedia
online inserisce il lavoro tra le attività filosofiche definendolo
“un proficuo e consapevole processo di scambio fra la comunità
degli uomini e la Natura”.
Lo stipendio ti paga
il lavoro che fai, ma non le ore che perdi, non la tua fatica, né le
tue energie spese, tanto meno ti paga gli anni che se ne vanno per
sempre.
Dovremmo, invece,
cercare ciò che ci fa stare bene e non vivere come schiavi pensando
che dobbiamo immolare le nostre giornate alla mera sopravvivenza
fisica, dividendoci fra produzione e consumo, in un ciclo infinito di
fare e disfare che non ha un vero fine se non quello di campare.
Dobbiamo tornare a circondarci di attività, di oggetti e di ruoli
che abbiano un anima e che non siano gusci vuoti, siano essi fatti
d'oro o di coccio.
Se difatti separi
troppo il lavoratore dal risultato del suo lavoro, esso si sentirà
alienato, nel senso di inutile, di distaccato dal suo stesso impegno
profuso nel prodotto o nell'attività. La sua sensazione sarà
appunto di lavorare per guadagnare e guadagnare per campare, cioè di
fare qualcosa di utile ad un sè stesso insensato e non ad una
comunità portatrice di orizzonti di senso, di stima, di
riconoscimento, di valore. Ed è quello che tanti di noi, sopraffatti
dall'astrattezza di lavori iper-terziarizzati, scollegati dal mondo e
a volte apparentemente (quando non realmente) superflui, oggi
subiscono: la sindrome della tela di Penelope, un qualcosa di
completamente autoreferenziale, una vita che mangia sè stessa senza
nulla produrre, un tran-tran, una sorta di pachinko
esistenziale: dalla costruzione di un futuro alla corsa al progresso
e dalla corsa al progresso (rivelatosi spesso apparente) alla corsa
del criceto…
La felicità, anche
solo il benessere, sono altrove, sono nella soddisfazione, sono nella
produzione di senso, di prospettive, anche minimali.
“Quando si parla
di smettere di lavorare e cambiare vita ho sempre la sensazione che
stiamo perdendo tempo. L’argomento è importante, centrale:
dobbiamo smettere di lavorare solo per produrre, per acquistare beni
che non ci servono, con soldi che spesso non sono neppure nostri, per
restare inseriti in un mondo che ci accoglie solo per ciò che
abbiamo, dunque un mondo che non dovremmo desiderare. Intanto i
nostri anni vanno via, le nostre passioni si scolorano, i nostri
sogni muoiono prima di essere stati generati. Il meglio della
nostra vita è strangolato dall’assenza di tempo, dall’ansia,
dalla fretta.
Ecco perché mi
sembra una perdita di tempo. Non l’argomento, certo, ma questo
nostro eterno parlarne in bilico sulla lama delle nostre paure.
Nati senza motivo,
senza manuale d’istruzione, moriremo e non saremo mai stati prima.
Che la vita sia questo, fede a parte, non è un’opinione. Dunque,
di cosa dobbiamo tanto parlare? Di cosa dovremmo avere tanto paura?
Cosa ostacola l’inizio del lavoro necessario al cambiamento, ma
adesso, subito, senza indugio? “Vivete convinti di poter vivere per
sempre…” diceva Seneca duemila anni fa.
Bisogna dare
senso al nostro tempo non solo perché è poco, ma per un’etica
della vita che abbiamo perduto. Che il mondo finisca oppure no,
oggi noi siamo qui, e la cosa grave non sarà scomparire, ma non
essere mai stati. Noi non siamo mai stati… ogni giorno nel
traffico; non siamo mai stati ogni volta che il Sistema ci costringe
a gesti non nostri; non siamo mai stati negli acquisti inutili, nel
ricatto del tempo speso a fare inutilmente; non siamo mai stati
quando viviamo nove ore al giorno con persone che non sceglieremmo,
se potessimo farlo. Non siamo mai stati quando ci pensiamo su troppo,
oppure quando decidiamo impulsivamente, mentre il cambiamento è un
processo, un percorso, da iniziare subito, ora, e a cui lavorare a
lungo, dando senso alla nostra vita, dentro, prima che tutto cambi.
Prima che cambiare non sia troppo tardi.” Simone Perotti – Il
Fattoquotidiano
Un'economia
che utilizza le risorse esistenti anziché il denaro.
Immagina un futuro prossimo in cui denaro, politica, interessi
personali e nazionali sono stati gradualmente eliminati. Sebbene
questa visione possa sembrare idealistica, è basata su anni di studi
e ricerca sperimentale. Spazia dall'educazione ai trasporti, dalle
risorse di energia pulita fino ai sistemi totali di città. Si chiama
Project Venus.
Il Venus Project, ideato da Jacque Fresco, presenta
una visione alternativa di una civiltà mondiale sostenibile,
diversamente da qualsiasi sistema politico, economico e sociale
esistito in precedenza.
Il Progetto Venere non è né utopistico né orwelliano, né
riflette i sogni di idealisti impraticabili. Invece, presenta
obiettivi raggiungibili che richiedono solo l'applicazione
intelligente di ciò che già conosciamo. Le uniche limitazioni sono
quelle che imponiamo su di noi.
Fresco crede che sia
possibile costruire una tale società, in cui le persone vivono "vite
più lunghe, più sane e più significative". E come fai ad
avere un tale prodigio? Facile: sostituire l'economia basata sul
denaro con un'economia basata sulle risorse. Questa visione emerge,
infine, dall'osservare che i processi derivanti dal sistema
monetario, come il lavoro e la competizione, corrompe la
società e alienano le persone dal loro vero potenziale.
Noi siamo quello che
facciamo. Le nostre realizzazioni ci caratterizzano come esseri unici
e inimitabili. “Pensare è un lavoro duro”; – dichiarava
Henry Ford – industriale, ingegnere e progettista statunitense
– e aggiungeva: “per questo motivo sono in pochi a farlo”.
Concentrarsi su qualcosa di veramente buono e utile da realizzare e
ancora riflettere su come raggiungere la meta tanto agognata. Non
rinunciare, capire perché quel 'qualcosa' è andato 'in quel modo' e
se si poteva fare di meglio.
Einstein, che era
conosciuto già dai suoi contemporanei come un grande pensatore,
affermava che spaccare legna è un lavoro che dà soddisfazione,
perché il risultato è immediato e senza rischi di insuccesso. Come
dargli torto?!
Projecto Venus –
Vedi il film QUI