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venerdì 4 gennaio 2019

Il Lavoro non nobilita ma degrada l’uomo?




I processi derivanti dal sistema monetario, corrompono la società e alienano le persone dal loro vero potenziale”.

Da quando San Benedetto ha rifiutato l’idea che un monaco potesse vivere di solo ascetismo grazie alle elemosine, stabilendo la regola ora et labora, si è sviluppata l’idea che il lavoro manuale nobilitasse l’uomo. Certo, non lavoravano i potenti, e il potere ha fatto sì che proprio un monaco, un agostiniano di nome Martin Luther, si distaccasse dall’idea di una salvezza per grazia senza bisogno di agire per sostenere che si era già predestinati alla salvezza o alla dannazione

Nel Cinquecento, l’epoca di Lutero e Calvino, a meno che non si nascesse nobili, per avere successo e accumulare ricchezza l’unico modo ­– non esistendo la finanza speculativa come la conosciamo oggi – era lavorare. Ma il lavoro è un fastidio necessario, una sorta di pegno da dare di malavoglia alla vita per assicurarsi il diritto ad esistere.

“Lavorare, ormai, è diventato non un modo per realizzare la propria persona, ma il mezzo per procurarsi i soldi per vivere per lavorare per vivere, alimentando un circolo vizioso, creando uno squilibrio tra i nostri desideri più profondi e le risorse per realizzarli.
A cosa ci siamo ridotti, quindi? Con il tempo abbiamo inventato strumenti che potevano farci lavorare meglio, con meno fatica e, per il fabbisogno che abbiamo, anche meno. Avremmo potuto dedicare più tempo alle passioni, a sentirci bene, alla ricerca della felicità e del miglioramento. Siamo finiti, purtroppo, a dannarci sempre di più, per il risultato minimo del sopravvivere. Come se in secoli di evoluzione sociale non si potesse far altro che ritornare alla preistoria.” Simone Moricca

L’enciclopedia online inserisce il lavoro tra le attività filosofiche definendolo “un proficuo e consapevole processo di scambio fra la comunità degli uomini e la Natura”.
Lo stipendio ti paga il lavoro che fai, ma non le ore che perdi, non la tua fatica, né le tue energie spese, tanto meno ti paga gli anni che se ne vanno per sempre.

Dovremmo, invece, cercare ciò che ci fa stare bene e non vivere come schiavi pensando che dobbiamo immolare le nostre giornate alla mera sopravvivenza fisica, dividendoci fra produzione e consumo, in un ciclo infinito di fare e disfare che non ha un vero fine se non quello di campare. Dobbiamo tornare a circondarci di attività, di oggetti e di ruoli che abbiano un anima e che non siano gusci vuoti, siano essi fatti d'oro o di coccio.

Se difatti separi troppo il lavoratore dal risultato del suo lavoro, esso si sentirà alienato, nel senso di inutile, di distaccato dal suo stesso impegno profuso nel prodotto o nell'attività. La sua sensazione sarà appunto di lavorare per guadagnare e guadagnare per campare, cioè di fare qualcosa di utile ad un sè stesso insensato e non ad una comunità portatrice di orizzonti di senso, di stima, di riconoscimento, di valore. Ed è quello che tanti di noi, sopraffatti dall'astrattezza di lavori iper-terziarizzati, scollegati dal mondo e a volte apparentemente (quando non realmente) superflui, oggi subiscono: la sindrome della tela di Penelope, un qualcosa di completamente autoreferenziale, una vita che mangia sè stessa senza nulla produrre, un tran-tran, una sorta di pachinko esistenziale: dalla costruzione di un futuro alla corsa al progresso e dalla corsa al progresso (rivelatosi spesso apparente) alla corsa del criceto…

La felicità, anche solo il benessere, sono altrove, sono nella soddisfazione, sono nella produzione di senso, di prospettive, anche minimali.

“Quando si parla di smettere di lavorare e cambiare vita ho sempre la sensazione che stiamo perdendo tempo. L’argomento è importante, centrale: dobbiamo smettere di lavorare solo per produrre, per acquistare beni che non ci servono, con soldi che spesso non sono neppure nostri, per restare inseriti in un mondo che ci accoglie solo per ciò che abbiamo, dunque un mondo che non dovremmo desiderare. Intanto i nostri anni vanno via, le nostre passioni si scolorano, i nostri sogni muoiono prima di essere stati generati. Il meglio della nostra vita è strangolato dall’assenza di tempo, dall’ansia, dalla fretta.
Ecco perché mi sembra una perdita di tempo. Non l’argomento, certo, ma questo nostro eterno parlarne in bilico sulla lama delle nostre paure.

Nati senza motivo, senza manuale d’istruzione, moriremo e non saremo mai stati prima. Che la vita sia questo, fede a parte, non è un’opinione. Dunque, di cosa dobbiamo tanto parlare? Di cosa dovremmo avere tanto paura? Cosa ostacola l’inizio del lavoro necessario al cambiamento, ma adesso, subito, senza indugio? “Vivete convinti di poter vivere per sempre…” diceva Seneca duemila anni fa.

Bisogna dare senso al nostro tempo non solo perché è poco, ma per un’etica della vita che abbiamo perduto. Che il mondo finisca oppure no, oggi noi siamo qui, e la cosa grave non sarà scomparire, ma non essere mai stati. Noi non siamo mai stati… ogni giorno nel traffico; non siamo mai stati ogni volta che il Sistema ci costringe a gesti non nostri; non siamo mai stati negli acquisti inutili, nel ricatto del tempo speso a fare inutilmente; non siamo mai stati quando viviamo nove ore al giorno con persone che non sceglieremmo, se potessimo farlo. Non siamo mai stati quando ci pensiamo su troppo, oppure quando decidiamo impulsivamente, mentre il cambiamento è un processo, un percorso, da iniziare subito, ora, e a cui lavorare a lungo, dando senso alla nostra vita, dentro, prima che tutto cambi. Prima che cambiare non sia troppo tardi.” Simone Perotti – Il Fattoquotidiano

Un'economia che utilizza le risorse esistenti anziché il denaro.
Immagina un futuro prossimo in cui denaro, politica, interessi personali e nazionali sono stati gradualmente eliminati. Sebbene questa visione possa sembrare idealistica, è basata su anni di studi e ricerca sperimentale. Spazia dall'educazione ai trasporti, dalle risorse di energia pulita fino ai sistemi totali di città. Si chiama Project Venus.

Il Venus Project, ideato da Jacque Fresco, presenta una visione alternativa di una civiltà mondiale sostenibile, diversamente da qualsiasi sistema politico, economico e sociale esistito in precedenza.

Il Progetto Venere non è né utopistico né orwelliano, né riflette i sogni di idealisti impraticabili. Invece, presenta obiettivi raggiungibili che richiedono solo l'applicazione intelligente di ciò che già conosciamo. Le uniche limitazioni sono quelle che imponiamo su di noi.
Fresco crede che sia possibile costruire una tale società, in cui le persone vivono "vite più lunghe, più sane e più significative". E come fai ad avere un tale prodigio? Facile: sostituire l'economia basata sul denaro con un'economia basata sulle risorse. Questa visione emerge, infine, dall'osservare che i processi derivanti dal sistema monetario, come il lavoro e la competizione, corrompe la società e alienano le persone dal loro vero potenziale.

Noi siamo quello che facciamo. Le nostre realizzazioni ci caratterizzano come esseri unici e inimitabili. “Pensare è un lavoro duro”; – dichiarava Henry Ford – industriale, ingegnere e progettista statunitense – e aggiungeva: “per questo motivo sono in pochi a farlo”. Concentrarsi su qualcosa di veramente buono e utile da realizzare e ancora riflettere su come raggiungere la meta tanto agognata. Non rinunciare, capire perché quel 'qualcosa' è andato 'in quel modo' e se si poteva fare di meglio.
Einstein, che era conosciuto già dai suoi contemporanei come un grande pensatore, affermava che spaccare legna è un lavoro che dà soddisfazione, perché il risultato è immediato e senza rischi di insuccesso. Come dargli torto?!

Projecto Venus – Vedi il film QUI