domenica 29 dicembre 2024

La "chimica della gratitudine" - Riflettendo sull'anno che verrà

 



Mentre l’anno volge al termine, è naturale guardarsi indietro e riflettere su ciò che è stato. Spesso, però, ci troviamo prigionieri di un giudizio severo verso noi stessi, focalizzati su ciò che non siamo riusciti a realizzare, sui progetti lasciati a metà, o sui sogni che sembrano ancora distanti. Ma questo è il momento per fare un respiro profondo e abbandonare l’ansia. Non come un atto di resa, ma come un atto di amore verso noi stessi. Lascia andare l’ansia per ciò che non hai raggiunto e abbraccia la gratitudine per tutto ciò che hai vissuto. La vita non è una lista di cose da fare, ma un continuo movimento, un flusso di esperienze che ci modellano e ci rendono unici.

Ogni anno porta con sé le sue lezioni, e non tutte le lezioni si imparano attraverso il successo. C’è saggezza anche nei passi falsi, nella pazienza che ci viene richiesta quando le cose non vanno secondo i piani. C’è crescita nelle attese e persino negli ostacoli, perché ci aiutano a scoprire una parte più profonda di chi siamo.

Riflettendo sull'anno passato, prova a guardare non solo ciò che non hai fatto, ma tutto ciò che hai affrontato: i momenti difficili che hai superato, i piccoli passi che hai compiuto senza forse nemmeno rendertene conto, i legami che hai rafforzato, o anche semplicemente la tua capacità di essere ancora qui, con la voglia di continuare. Questo è già un risultato straordinario.

La gratitudine sposta il focus verso ciò che hai, non ciò che ti manca. In una società che spesso ci spinge a concentrarci su ciò che non abbiamo raggiunto o ottenuto, la gratitudine ci invita a fare una pausa e a osservare ciò che è già presente nella nostra vita. Questo cambio di prospettiva ci aiuta a liberarci dal desiderio incessante di “di più” e ci permette di riconoscere la bellezza delle cose semplici e delle esperienze quotidiane. Non significa ignorare le difficoltà, ma imparare a vedere anche il positivo nel mezzo delle sfide.

Spesso pensiamo alla felicità come a qualcosa che dipende dal raggiungimento di grandi obiettivi o traguardi. La gratitudine, invece, ci insegna che la felicità si trova nelle piccole cose: un sorriso, un tramonto, una parola gentile, un momento di quiete. Questo cambiamento ci aiuta a vivere nel presente e a godere di ciò che abbiamo, invece di inseguire costantemente qualcosa di esterno.
Lascia andare l'idea che ogni obiettivo debba essere raggiunto entro una scadenza prestabilita. La vita non è una gara, ma un viaggio, e ogni tappa ha il suo valore. Anche i momenti in cui ci fermiamo per riposare, riflettere o semplicemente per respirare sono fondamentali. Ricordare sempre che un seme non sboccia più velocemente se viene forzato. Ha bisogno del suo tempo, della sua luce, della sua acqua. Lo stesso vale per noi.

Invece di concentrarti su ciò che non è andato come previsto, guarda l’anno passato come una pagina piena di vita, con i suoi colori, le sue ombre e le sue luci. E mentre ti prepari ad accogliere l'anno nuovo, fallo con un cuore aperto, non con il peso delle aspettative passate, ma con la leggerezza di chi sa che ogni giorno porta con sé una nuova possibilità.

Augurati di essere gentile con te stesso, di accogliere i tuoi limiti come parte di un percorso più grande e di camminare verso il futuro con fiducia, anche quando la strada non è chiara. Perché, alla fine, ciò che conta davvero non è quanto velocemente arriviamo, ma quanto profondamente viviamo il viaggio.

La "chimica della gratitudine"

La gratitudine è una forza potente che può trasformare profondamente il modo in cui vediamo e percepiamo la nostra vita. Non si tratta solo di un'emozione momentanea, ma di un atteggiamento che, se coltivato, può influenzare il nostro benessere mentale, emotivo e persino fisico.

La "chimica della gratitudine" si riferisce agli effetti che l'atto di provare ed esprimere gratitudine ha sul nostro organismo, in particolare sul nostro cervello e sul sistema nervoso. Quando ci sentiamo grati, vengono attivati specifici processi chimici e neurologici che influenzano il nostro umore, la nostra salute mentale e il benessere generale.

Come funziona la gratitudine a livello chimico nel corpo

Aumento della dopamina

La dopamina è conosciuta come il "neurotrasmettitore della ricompensa" ed è fondamentale per farci sentire motivati e felici. Quando proviamo gratitudine, il cervello rilascia dopamina, generando una sensazione di piacere e soddisfazione. Questo crea un ciclo positivo: più siamo grati, più il nostro cervello si abitua a cercare motivi per esserlo, alimentando così un senso di benessere.

Rilascio di serotonina

La serotonina è un altro neurotrasmettitore cruciale per la regolazione del nostro umore. Gli atti di gratitudine e il riflettere su ciò che apprezziamo nella nostra vita stimolano l'attività dei circuiti cerebrali legati alla produzione di serotonina. Questo aiuta a migliorare il nostro stato d'animo, riducendo l'ansia e la depressione.
Riduzione del cortisolo (ormone dello stress)

Quando pratichiamo la gratitudine, il nostro cervello si allontana dai pensieri negativi o dalle preoccupazioni per il futuro. Concentrarci sugli aspetti positivi della nostra vita aiuta a calmare la mente e a ridurre la tensione. Numerosi studi hanno dimostrato che esprimere gratitudine può abbassare i livelli di cortisolo, l'ormone dello stress, migliorando il nostro equilibrio emotivo. Il cortisolo associato allo stress cronico e, a livelli elevati, può danneggiare il nostro organismo. La pratica regolare della gratitudine è stata collegata a una riduzione significativa dei livelli di cortisolo nel corpo. Questo effetto riduce lo stress e l'ansia, favorendo uno stato di calma e rilassamento.

Aumento dell'ossitocina

L'ossitocina, spesso chiamata "ormone dell'amore" o "ormone del legame", viene rilasciata quando proviamo emozioni positive e interagiamo con gli altri in modo affettuoso o grato. Provare gratitudine, specialmente quando la esprimiamo verso qualcuno, stimola la produzione di ossitocina, rafforzando le relazioni e promuovendo un senso di connessione sociale e fiducia.

Attivazione del sistema di ricompensa del cervello

La gratitudine attiva il sistema limbico del cervello, in particolare le aree associate al sistema di ricompensa, come la corteccia prefrontale e il nucleus accumbens. Questo porta a una sensazione di piacere e benessere, contribuendo a creare una risposta positiva che incentiva ulteriormente il comportamento grato.

Effetti sulla neuroplasticità

La pratica regolare della gratitudine può influenzare positivamente la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di riorganizzarsi formando nuove connessioni neurali. Quando coltiviamo la gratitudine, insegniamo al nostro cervello a cercare e riconoscere gli aspetti positivi della vita. Questo può contribuire a un cambiamento duraturo nelle nostre abitudini mentali e nella percezione del mondo.

Benefici per il sistema nervoso autonomo

La gratitudine aiuta a bilanciare il sistema nervoso autonomo, riducendo l'attività del sistema nervoso simpatico (associato alla risposta di "lotta o fuga") e aumentando l'attività del sistema nervoso parasimpatico (responsabile del rilassamento e del riposo). Questo effetto contribuisce a migliorare la salute cardiovascolare, la qualità del sonno e la gestione dello stress.

Effetti sul sistema immunitario

Gli stati emotivi positivi, come quelli indotti dalla gratitudine, sono stati associati a una maggiore produzione di cellule immunitarie, come le cellule killer naturali (NK), e a una riduzione dei marcatori di infiammazione. La gratitudine, quindi, non solo migliora il nostro stato mentale, ma rafforza anche il nostro sistema immunitario.

Quando proviamo gratitudine, il nostro corpo e il nostro cervello lavorano insieme per creare un equilibrio positivo tra ormoni e neurotrasmettitori. Il risultato è una sensazione di benessere, connessione e resilienza. Coltivare la gratitudine non è solo una pratica emotiva, ma un vero e proprio intervento biologico che migliora la qualità della vita a livello fisico, mentale e relazionale.

La gratitudine è, quindi, un "esercizio chimico naturale" per il cervello, che ci permette di sperimentare il meglio del nostro potenziale emotivo e biologico.

Quando coltiviamo la gratitudine, impariamo a vedere anche le difficoltà come opportunità di crescita. Non significa negare il dolore o la sofferenza, ma sviluppare la capacità di trovare un senso anche nei momenti più difficili. Questa prospettiva ci rende più resilienti, permettendoci di affrontare le sfide con maggiore forza e speranza.

La gratitudine non è un modo per ignorare ciò che manca o le difficoltà, ma un mezzo per bilanciare la nostra percezione della vita, rendendola più ricca, significativa e soddisfacente. È un promemoria costante che, nonostante tutto, c'è sempre qualcosa di cui essere grati. E, coltivando questa consapevolezza, possiamo cambiare profondamente il nostro modo di vedere il mondo e noi stessi.

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domenica 22 dicembre 2024

Reconheça os perigos do consumismo compulsivo

 


Vivemos em uma era onde as redes sociais ditam tendências, criam padrões e, muitas vezes, definem o que significa “ter sucesso”. A ostentação tornou-se uma linguagem universal. Carros luxuosos, roupas de marca, viagens para destinos paradisíacos: tudo é exibido como um troféu, um símbolo de status que valida quem somos aos olhos do mundo.

Comprar coisas que não precisamos é um comportamento complexo, enraizado em fatores emocionais, sociais e culturais. Para compreender profundamente as razões por trás disso, precisamos explorar os mecanismos psicológicos e as influências externas que levam a essa prática. Duas motivações principais se destacam: a busca por uma felicidade ilusória e o desejo de aumentar a autoestima. Embora estejam conectadas, cada uma tem nuances próprias.

Buscar uma felicidade ilusória

Muitas vezes somos condicionados a associar a posse de bens materiais com a felicidade. Essa ideia é reforçada por estratégias de marketing que vendem não apenas produtos, mas também promessas de uma vida mais plena, confortável e desejável. Quando compramos algo, muitas vezes não estamos adquirindo o objeto em si, mas o sentimento que acreditamos que ele trará: alegria, contentamento ou satisfação.

No entanto, essa felicidade é efêmera. O conceito de "hedonia" (prazer momentâneo) ajuda a explicar esse fenômeno. Após a compra, sentimos um pico de prazer devido à novidade ou à ideia de conquista. Porém, com o tempo, o entusiasmo se dissipa, deixando espaço para a insatisfação e o desejo por algo novo. Esse ciclo é chamado de adaptação hedônica, onde continuamente buscamos novas experiências para tentar manter o nível de felicidade, mas nunca o atingimos de forma duradoura. A busca pela felicidade através do consumo é, portanto, ilusória porque ignora o fato de que a satisfação emocional vem de fontes mais profundas e menos tangíveis, como relacionamentos significativos, propósito de vida e autorrealização.

Aumentar a autoestima

Outra razão central para compras desnecessárias é o desejo de elevar ou proteger a autoestima. Nossas decisões de consumo estão intimamente ligadas à nossa identidade: o que vestimos, usamos ou possuímos muitas vezes serve como uma extensão de quem acreditamos ser ou queremos aparentar ser.

Aqui, entram conceitos como:

Validação social: Adquirir produtos que são admirados ou desejados por outros pode fazer com que nos sintamos mais incluídos ou respeitados. Por exemplo, roupas de marca ou dispositivos tecnológicos de ponta são frequentemente vistos como símbolos de status.
Autopercepção: Compramos itens que reforçam a imagem que temos (ou queremos ter) de nós mesmos. Por exemplo, alguém que se vê como moderno e sofisticado pode investir em acessórios de design ou decoração minimalista.

Por trás dessas escolhas está uma tentativa de suprir inseguranças. Quando acreditamos que não somos suficientes por quem somos, tentamos compensar por meio de objetos que simbolizam sucesso, beleza ou exclusividade. Assim, o ato de comprar torna-se um mecanismo de defesa emocional, usado para esconder vulnerabilidades e projetar uma imagem idealizada ao mundo.

O elo entre felicidade ilusória e autoestima

As duas motivações não são mutuamente exclusivas. Na realidade, elas se entrelaçam. Buscamos produtos que acreditamos nos farão mais felizes porque, em muitos casos, acreditamos que seremos mais valorizados – por nós mesmos e pelos outros – ao possuí-los. Isso cria um ciclo onde o consumo é alimentado por uma combinação de:

Ansiedade sobre como somos percebidos.

Uma crença equivocada de que a felicidade pode ser comprada.
A necessidade de nos sentirmos no controle em um mundo caótico.
Essa dinâmica é exacerbada pela sociedade do consumo, que reforça a ideia de que “ser” está diretamente relacionado a “ter”.

Como romper esse elo?

Reconhecer gatilhos emocionais: Pergunte-se: "Estou comprando porque realmente preciso ou porque quero preencher um vazio emocional?" Identificar os gatilhos – tédio, tristeza, insegurança – é o primeiro passo para romper o padrão.

Redefinir felicidade e sucesso: Reflita sobre o que realmente traz alegria à sua vida. São experiências, pessoas ou momentos – e não objetos – que geralmente proporcionam uma felicidade mais duradoura.

Cultivar autoestima interna: Trabalhe para valorizar quem você é, independentemente do que possui. Terapia, práticas de autocuidado e gratidão são ferramentas eficazes nesse processo.
Adotar um consumo consciente: Avalie suas compras com critérios de necessidade e significado. Um bom exercício é esperar 24 horas antes de adquirir algo impulsivamente. No fim, compramos coisas que não precisamos porque somos seres humanos vulneráveis a influências externas e às nossas próprias emoções. Porém, ao compreender as raízes desse comportamento, podemos desenvolver uma relação mais saudável com o consumo e nos libertar da busca incessante por algo que o dinheiro, no fundo, não pode comprar: uma vida plena e autêntica.

Mas qual o custo real dessa necessidade de mostrar e consumir?

A ostentação incentiva um ciclo de consumismo descontrolado, alimentado pela comparação constante. Quando nos deparamos com influenciadores e amigos compartilhando suas conquistas materiais, surge a sensação de que precisamos acompanhar esse ritmo, mesmo que isso nos leve a decisões financeiras imprudentes. A compulsão por compras torna-se, então, uma válvula de escape para preencher um vazio interno, mascarar inseguranças ou buscar uma aprovação social ilusória.

O problema se agrava quando as condições financeiras não acompanham os desejos. Muitas vezes, adquirimos o que não podemos pagar, utilizando cartões de crédito ou empréstimos que geram uma bola de neve de dívidas. O prazer momentâneo da compra logo dá lugar à angústia de contas acumuladas, perpetuando um ciclo de insatisfação e ansiedade.

Esse comportamento reflete algo mais profundo: a falsa promessa de que consumir nos torna mais felizes ou completos. A ostentação prega que o valor de uma pessoa está ligado ao que ela possui, e não ao que ela é. No entanto, essa lógica é enganosa. Nenhum objeto material pode suprir necessidades emocionais ou substituir relações autênticas e experiências significativas.

Como sair desse ciclo?

Pratique o autoconhecimento: Questione os motivos por trás das suas compras. Você realmente precisa daquele item ou está buscando aceitação e validação?
Adote um consumo consciente: Antes de comprar, reflita sobre o impacto financeiro e ambiental. Pergunte-se se aquilo realmente agregará valor à sua vida.

Valorize o que você já tem: A gratidão pelo que possuímos é uma forma poderosa de combater o desejo incessante por mais.

Desconecte-se do comparativo social: Lembre-se de que o que vemos nas redes sociais nem sempre reflete a realidade. Muitas vezes, a ostentação é apenas uma fachada.
Reconhecer os perigos do consumismo desenfreado é o primeiro passo para uma relação mais saudável com o dinheiro e com nós mesmos. Afinal, não é o que possuímos que nos define, mas as escolhas que fazemos e o impacto que deixamos no mundo. Buscar felicidade na simplicidade e em valores que vão além do material é um ato revolucionário em tempos de ostentação.

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domenica 15 dicembre 2024

Somos escravos do consenso social?

 


Embora a realidade possa parecer facilmente compreensível, a maior parte da sua percepção vem do consenso. Compreender o que as pessoas querem dizer quando usam o termo “realidade” pode ser muito esclarecedor.

A realidade é um lugar misterioso. Todos vivemos dentro dele, mas não temos ideia do que seja.

O termo “realidade consensual” é usado para se referir à experiência linear e acordada que a maioria dos seres humanos parece compartilhar. Mas será que realmente compartilhamos isso? E quão real é esta realidade consensual?

O que significa realidade consensual?

Realidade física

Primeiro, o significado original do termo refere-se ao mundo tal como ele é em si. Refere-se ao conjunto de crenças, valores, normas, e interpretações compartilhadas por um grupo ou sociedade, que as pessoas aceitam como verdade ou como "real". É aquilo que realmente existe, independentemente da experiência. A maioria de nós presume que existe um mundo além da mente, mas também aceitamos que cada mente vivencia esse mundo de maneira um pouco diferente das outras. Como decidimos quais propriedades do mundo realmente existem e quais são subjetivas e dependentes da mente? É uma construção social formada por meio da interação, linguagem e acordos implícitos ou explícitos sobre como interpretar o mundo.

Realidade social

Recentemente, foi proposta uma abordagem sociológica da realidade consensual. Isto pressupõe que existam realidades sociais acordadas nas quais existimos e que através do consenso alcançamos “verdades” que são amplamente compreendidas pelas pessoas. Ao obter um consenso, podemos fazer inferências sobre a verdadeira natureza da realidade de uma forma independente da mente.

Um exemplo seria a comparação entre religião e ciência. Há algumas centenas de anos, na Europa, era geralmente aceito que Deus criou o universo e que um código moral feito por Deus era uma verdade universal. Hoje muitas pessoas tendem a ter uma visão de mundo mais científica aceitando que não se deve necessariamente separar religião e ciência e que as supostas verdades mudam.

Ambas podem ser pensadas como realidades sociais formadas por consenso ou acordo geral. Nestes casos, podemos assumir que nenhuma propriedade do mundo tal como é muda quando a sociedade muda a sua visão sobre o mundo. No entanto, a realidade prática em que os humanos vivem pode mudar radicalmente. Assim, em relação à sociedade, a realidade consensual refere-se a normas, ideologias, sistemas de crenças e comportamentos acordados. Estes podem mudar e não se referem necessariamente a qualquer realidade verdadeira. Na verdade, diferentes realidades socialmente construídas podem coexistir, tanto em todo o mundo como dentro de nações, cidades ou pequenos grupos sociais.

O que é subjetividade?

Muitas vezes pensa-se que a realidade se refere a algo objetivo, no sentido de algo que é verdadeiro em si mesmo e não depende de ser visto de uma determinada maneira. Em contraste com isso está a subjetividade, que indica que a realidade depende da mente que a vivencia, ou melhor, é uma mente que vivencia algo.

A abordagem materialista da realidade consensual

Os materialistas acreditam que o mundo é real e imanente. Eles podem acreditar que a mente influencia a forma como vemos o mundo, mas também geralmente assumem que o mundo físico tal como o experienciamos é uma representação fiel da verdadeira realidade. Isto torna-se ainda mais verdadeiro se considerarmos as evidências provenientes de medições científicas e matemáticas.

Simplificando, os materialistas acreditam que a realidade consensual é a realidade objetiva, no que se refere ao mundo material. No mínimo, um materialista acreditará que a realidade objetiva poderia ser potencialmente determinada através do consenso científico, mesmo que não acredite que já seja atualmente conhecida.

A abordagem idealista da realidade consensual

Em contraste, os idealistas argumentam que o mundo é um produto da mente. Alguns idealistas dirão que existe uma realidade externa e objetiva, mas que não podemos conhecê-la. Outros podem até negar. Esses idealistas sustentam que o universo cognoscível é puramente um fenômeno mental.

A abordagem idealista diz que não podemos conhecer o mundo como ele é em si. Tudo o que podemos saber e chegar a um consenso são as nossas experiências. Para o idealista, é provável que cada indivíduo experimente a sua própria realidade específica. Embora esta realidade possa ser semelhante à de outras, será profundamente diferente em alguns aspectos.

Mesmo que exista uma realidade externa e objetiva, esta é intrinsecamente incognoscível para nós. Uma vez que cada um de nós vive a sua própria realidade, como podemos realmente especular sobre como seria uma realidade objetiva? Não é sequer possível conceber um mundo que não seja experienciado, pois ainda teria cor, som e todas as outras propriedades de um mundo que é experienciado. Assim, os idealistas diriam que cada pessoa vive na sua própria realidade individual, mesmo que esta seja de alguma forma moldada por uma realidade externa.

As duas visões podem coexistir?

Até certo ponto, é possível manter ambas as visões da realidade. A maioria das pessoas provavelmente fará isso espontaneamente. Podemos assumir que podemos especular sobre a verdadeira natureza da realidade e que podemos explorá-la utilizando a matemática e o método científico, mas também reconhecendo que cada um de nós pode ter uma experiência subjetiva e individual desta realidade.

A principal diferença é se uma pessoa acredita ou não que podemos realmente conhecer uma realidade externa. Do ponto de vista sociológico, o conceito de realidade consensual tem grandes implicações. Falando em fatos, isso se resume a direitos e moralidade.

Matar é errado. A desigualdade é ruim. As pessoas deveriam ser capazes de amar quem elas queiram. Para muitas pessoas, estas são crenças firmes que formam a sua concepção global de como a sociedade deve ser estruturada. Além disso, as pessoas presumirão que estas são verdades absolutas, em vez de simplesmente crenças subjetivas. Mas isso é verdade? Não são apenas um consenso sujeito a mudanças?

Há 100 anos, a desigualdade era considerada totalmente justa. As pessoas estavam então objetivamente erradas ou simplesmente viviam numa realidade consensual diferente? E o que dizer das pessoas que hoje acreditam de forma diferente: estão objetivamente erradas?

Responder a essas perguntas é incrivelmente difícil. No entanto, vale a pena destacar o quão poderoso é realmente o consenso social. Pode causar revoluções, mudar gerações inteiras e, em última análise, mudar o mundo. Mas, para a maioria de nós, em que se baseiam essas crenças, além do simples consenso? E só porque há consenso em relação a algumas crenças, que valor isso tem? Afinal, o consenso pode mudar facilmente.

O que as drogas podem nos dizer sobre a natureza da realidade?

Não é segredo que as drogas psicotrópicas, especialmente os psicodélicos como os cogumelos mágicos, o cacto mescalina, o LSD e o DMT, mudam a nossa percepção da realidade. Mas o que isso pode significar?

Quando tomamos uma droga, certas substâncias químicas no nosso cérebro mudam e o mundo parece diferente, por vezes irreconhecível. Se a forma como percebemos o mundo é simplesmente uma questão de relações entre neurotransmissores, então o que isso significa para a realidade consensual cotidiana? Deveríamos presumir que a realidade que vivenciamos quando sóbrios é mais verdadeira do que a realidade que vivenciamos com as drogas? Como sabemos se uma das duas realidades que percebemos corresponda mais à realidade externa do que a outra?

Isto se resume ao debate materialismo versus idealismo. Um materialista diria que as drogas não alteram as características da verdadeira realidade e provavelmente afirmaria que os nossos cérebros sóbrios evoluíram para perceber a realidade com bastante clareza. Em vez disso, argumentariam que as realidades que vivenciamos sob a influência de drogas estão longe da única realidade verdadeira que vivenciamos quando sóbrios.

Em vez disso, um idealista argumentaria que ambas as realidades são igualmente verdadeiras e falsas. Visto que tudo o que vivenciamos são realidades subjetivas, então a verdade da experiência reside na própria experiência, e não em como ela se relaciona com uma realidade objetiva e incognoscível.

A realidade está bem diante dos nossos olhos, ao alcance dos nossos ouvidos e fácil de tocar. No entanto, é de alguma forma totalmente evasiva!

O que é então a realidade? Como podemos defini-la? Quantas realidades existem? Está tudo em nossa cabeça?

Todas essas são questões enormes, com muitas respostas profundas e incertas. Embora não seja claro se a realidade do consenso corresponda à realidade objetiva, podemos estar certos de que o acordo sobre a natureza do mundo em que vivemos tem certamente aplicações práticas.

Dito isto, é fundamental compreender que as realidades sociais em que vivemos são construções e não realidades objetivas. Saber disso nos dá o poder de distingui-las e influenciá-las. Não poder vê-las significa que podemos nos tornar escravos delas.

A realidade de consenso é essencial para a coesão social, mas também pode limitar a exploração da "verdadeira realidade". Questioná-la exige coragem, abertura e um esforço consciente para compreender o mundo de maneira mais ampla e menos condicionada pelas influências sociais.

A realidade é de natureza holográfica. Logo, não existe. Cap. XI

Omundo que parece tão real, poderia ser um sonho? Cap. 19

Fonte: zamnesia.io/it