Saremmo tutti
uomini-macchina?
L’evoluzione
delle tecnologie ci spinge a riflettere ponderatamente sul cervello
umano e sull’intelligenza artificiale, per
comprendere gli scenari futuri.
Con
ben 86 miliardi di neuroni collegati
uno all’altro da trilioni di sinapsi, per un totale di centinaia di trilioni di
percorsi su cui viaggiano i segnali celebrali, il
cervello umano è considerato un super-sistema dinamico di
sistemi neuronali, un vero “mostro”
– anche a confronto con il super computer più potente del mondo come il cinese
Tianhe-2, conosciuto come Milky Way 2, da 3.120.000 cores e 33,86 petaflop/s o
il benchmark Linpack.
Per
la terza volta, l'Intelligenza Artificiale supera il test di Turing, quello che
determina se il comportamento di una macchina intelligente è indistinguibile da
quello umano. Dopo il computer 'pensante' sviluppato a San Pietroburgo, capace
di comportarsi come un ragazzino di 13 anni, un'intelligenza artificiale aveva
superato 'l'esame scritto' con la produzione di un testo che avrebbe potuto
essere prodotto da un umano, e ora un'altra ha superato l'esame orale, rendendo
'sonoro' un video muto.
Secondo
l’esperimento, coordinato da Andrew Owens del Mit (Massachusetts Institute of
Technology), algoritmi simili in futuro potrebbero produrre automaticamente
effetti sonori per film e spettacoli, e potrebbero aiutare i robot a
comprendere meglio le proprietà degli oggetti per interagire meglio con
l'ambiente.
"Quando
si mette il dito in un bicchiere di vino, il suono che fa, riflette la quantità
di liquido che è nel bicchiere, Un algoritmo che modella tali suoni, può
rivelare informazioni chiave sulle forme degli oggetti e i materiali di cui
sono fatti", afferma Andrew Owens.
Il rischio, secondo molti, è quello di ritrovarsi orde di “Frankenstein” in grado di dominare il mondo e la razza umana, con la forza, con l’astuzia e con la capacità di ragionare, di calcolare e di prevedere le nostre mosse. Sarebbe possibile?
Arrivano le generazioni cyborg - Dopo il 2030,
dobbiamo confrontarci con entità completamente non biologiche dotate della
stessa complessità degli esseri umani.
Secondo Ray Kurzweil –
scienziato informatico – entro il 2029 i computer raggiungeranno il livello
dell’intelligenza umana. Una volta che le macchine avranno conseguito
quel traguardo, non c’è dubbio che lo supereranno, perché riusciranno combinare
l’ingegnosità e la flessibilità dell’intelligenza umana con le caratteristiche
per cui i computer sono intrinsecamente superiori: la condivisione d’informazioni,
la velocità delle operazioni, il fato di lavorare sempre al massimo delle
prestazioni e di gestire con precisione miliardi e miliardi di dati. Potranno
impadronirsi sostanzialmente di tutta la conoscenza della civiltà
uomo-macchina. Non ci sarà più una distinzione netta tra uomo e macchina.
Afferma Kurzweil.
Ma… tranquilli, dicono
che non ci sarà nessuna competizione tra gli strani marchingegni e noi, perché
ci mescoleremo e ci uniremo a vicenda.
Secondo Kuszweil, avrà un’interazione tra una computerizzazione diffusa e i nostri cervelli biologici, quindi, quando parleremo con una persona del 2035, possiamo star di fronte a un vero e proprio ibrido d’intelligenza biologica e non biologica.
Gli impianti neurali aumenteranno la capacità della mente umana, trasformando le persone in veri cyborg.
Accresceranno la nostra intelligenza e saremmo in grado di pensare più velocemente e più profondamente, di sviluppare capacità superiori in ogni campo della conoscenza, dalla musica alla scienza.
Grazie alla nanotecnologia, l’intelligenza non biologica crescerà in maniera esponenziale – una volta impiantata nei nostri cervelli – al contrario di quello che succede con l’intelligenza biologica che procede con un ritmo talmente lento da essere effettivamente pari a zero, anche se l’evoluzione è sempre in atto.
Secondo Kuszweil, avrà un’interazione tra una computerizzazione diffusa e i nostri cervelli biologici, quindi, quando parleremo con una persona del 2035, possiamo star di fronte a un vero e proprio ibrido d’intelligenza biologica e non biologica.
Gli impianti neurali aumenteranno la capacità della mente umana, trasformando le persone in veri cyborg.
Accresceranno la nostra intelligenza e saremmo in grado di pensare più velocemente e più profondamente, di sviluppare capacità superiori in ogni campo della conoscenza, dalla musica alla scienza.
Grazie alla nanotecnologia, l’intelligenza non biologica crescerà in maniera esponenziale – una volta impiantata nei nostri cervelli – al contrario di quello che succede con l’intelligenza biologica che procede con un ritmo talmente lento da essere effettivamente pari a zero, anche se l’evoluzione è sempre in atto.
Abbiamo, ora, un totale
di 10 elevato a 26 operazioni al secondo, nei cervelli biologici dei 6 miliardi
di esseri umani del pianeta. Tra 50 anni, questa cifra sarà sempre la stessa.
L’intelligenza non biologica oggi è lontana milioni di volte da questo valore.
La nanotecnologia servirà anche per salvare
le vite umane.
Infatti, esistono già alcune persone in
cui i neuroni biologici del loro cervello sono connessi ai computer e in tale
sistema, l’elettronica funziona a fianco del circuito elettrico biologico.
Questi innesti servono per migliorare certe condizioni patologiche e alleviare
alcune disabilità come nel caso dei non udenti e i malati di Parkinson. I
dispositivi di ultima generazione danno, pure, la possibilità di scaricare
software per aggiornare il sistema.
In poco tempo si potrà fare uso dei nanorobot – grandi quanto le cellule ematiche – in grado di entrare nei capillari e nel cervello, in modo non invasivo, per un’ampia gamma di scopi diagnostici e terapeutici.
Nei casi di epatite e diabete, per esempio, un dispositivo – in forma di capsula, con pori del diametro di 7 nanometri - rilascia l’insulina e blocca gli anticorpi. E’ già stata sperimentata nei ratti per la cura di diabete del tipo 1 con ottimi risultati e, dato che il meccanismo del diabete tipo 1 è uguale sia nei ratti sia negli esseri umani, è evidente pensare che l’apparecchio funzionerà anche negli umani.
In poco tempo si potrà fare uso dei nanorobot – grandi quanto le cellule ematiche – in grado di entrare nei capillari e nel cervello, in modo non invasivo, per un’ampia gamma di scopi diagnostici e terapeutici.
Nei casi di epatite e diabete, per esempio, un dispositivo – in forma di capsula, con pori del diametro di 7 nanometri - rilascia l’insulina e blocca gli anticorpi. E’ già stata sperimentata nei ratti per la cura di diabete del tipo 1 con ottimi risultati e, dato che il meccanismo del diabete tipo 1 è uguale sia nei ratti sia negli esseri umani, è evidente pensare che l’apparecchio funzionerà anche negli umani.
Così, si aprono molti altri scenari con
sapore di surreale.
Si sa già che in tempo breve, potremo
avere, per esempio, una realtà virtuale su scala totale, nella quale i nanorobot saranno
in grado di interrompere i segnali provenienti dai nostri sensi e sostituire
con altri. Così, andare in bagno, per molti non sarà più un problema: basta
chiedere al nostro nanorobot di sostituire l’odore sgradevole per quello di
lavanda o fiori del bosco ed è fatto – così per dire!
Il cervello, quindi, verrebbe davvero a
trovarsi in un ambiente virtuale con le condizioni tanto convincenti quanto
quelle dell’ambiente reale.
Così, dopo il 2030 scatenerà un grande
dibattito filosofico attorno alla questione se si tratti di simulazioni molto
convincenti di entità coscienti, o se siano coscienti davvero o ancora, se ci
siano differenze tra le due cose. Ci saremmo per vedere? Chi vivrà vedrà!
Fonte: centodieci.it
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