Li chiamavano «i
due di Princeton». Albert Einstein e Kurt Gödel. Il
primo allegro, ironico, pronto allo scherzo e alla battuta, al
paradosso. Gödel invece, magro, viso triste ed emaciato,
meticoloso, diffidente, ipocondriaco, convinto fin dalla prima
giovinezza di essere gravemente malato. Non solo si riteneva
gravemente malato, ma anche avvelenato da cibi e medicine e
diffidente nei confronti dei medici. Al punto da lasciarsi morire di
fame (è deceduto per denutrizione, nel gennaio 1978). Difficile
immaginare due personalità tanto diverse, eppure così amici.
A Princeton Einstein
abitava al 112 di Mercer Street e Kurt Gödel – da
tutti riconosciuto come il più grande logico dopo Aristotele - stava
in una villetta accanto alla sua. Ogni giorno andavano insieme
all’Institute e insieme tornavano. Nei verdi vialetti di Princeton
le loro passeggiate facevano parte del paesaggio. Di che cosa
parlavano?
E’ probabile che
un tema delle passeggiate di Einstein e Gödel fosse il tempo. Non
quello meteorologico, il tempo fisico. La cosa strana è che per
entrambi il tempo è una finzione. Quindi discutevano del nulla?
Cavarsela con questa battuta sarebbe semplicistico. Bisogna capire in
che senso il tempo è una finzione. Nonostante si chiami relatività,
Einstein concepisce la sua teoria per dare alla fisica un fondamento
assoluto: qualsiasi osservatore in ogni punto dell’universo deve
trovare nei fenomeni a cui assiste, le stesse leggi.
Affinché ciò
accada, è necessario che a luce nel vuoto abbia sempre la stessa
velocità (299 792, 458 chilometri al secondo) in qualunque sistema
di riferimento. Ma perché questo valore sia assoluto c’è un
prezzo da pagare: rendere relativi il tempo e le distanze. Così,
tempo e spazio, indissolubilmente legati, diventano elastici, non si
può stabilire la simultaneità di due eventi lontani, non esiste più
un “adesso” universale.
Gödel era la
persona giusta per apprezzare questo paradosso. L’essenza del suo
teorema di incompletezza (“nessun sistema matematico può essere
corretto, completo e decidibile” presuppone un’affermazione
paradossale del tipo “questa affermazione non può essere
dimostrata”. Ora, delle due, l’una: se l’affermazione può
essere dimostrata abbiamo una falsità e il sistema non è corretto;
se invece non può essere dimostrata, allora l’affermazione è vera
ma, non potendo essere dimostrata, il sistema è incompleto. Come se
non bastasse, Gödel scopre anche l’esistenza di affermazioni che
non sono decidibili, cioè delle quali non si può provare né che
sono vere né che sono false, e per prudenza su questa soglia ci
fermiamo.
Che la natura del
tempo fosse una questione cruciale sia per Einstein sia per Gödel si
deduce anche da un curioso dono che Gödel fece ad Einstein per il
suo settantesimo compleanno. Scavando nella relatività generale, il
logico matematico escogitò un modello di universo a tempo circolare
nel quale un dato istante dopo un lunghissimo intervallo, torna al
punto di partenza e così via all’infinito. Nell’universo di
Kurt, Albert avrebbe potuto compiere settant’anni un numero
illimitato di volte.
Discorsi
tra Geni… non si discute!
Anziché esserne
lusingato Einstein si spaventò. Se la relatività ammette i viaggi a
ritroso nel tempo – ragionò – non può essere vera perché entra
in contraddizione con la realtà fisica: potremmo risalire a un’epoca
antecedente la nostra nascita e uccidere nostro nonno rendendo
impossibile la nostra esistenza.
Il dono di Gödel era avvelenato,
apriva una crepa nella teoria fondamentale della fisica, il
capolavoro indiscusso di Einstein. Con logica ferrea Gödel lo
rassicurò: se il viaggio nel tempo fosse possibile, allora sarebbe
il tempo ad essere impossibile; infatti un passato che può essere
rivisitato e cambiato, non è realmente passato. Per Gödel, il
tempo, come Dio, o è necessario o non è nulla; un Dio che non sia
intrinsecamente necessario, semplicemente non è.
La prova
matematica dell’esistenza di Dio
Negli anni trascorsi
a Princeton Gödel prosegue i suoi studi, sviluppa una sua teoria
cosmologica, ma le sue idee non decollano. Il senso di colpa per la
sua presunta scarsa produttività lo tormenta. Nel ‘58 pubblica
quello che sarà il suo ultimo articolo; anni dopo scriverà una
dimostrazione ontologica dell’esistenza di dio, non un dio
religioso ma un dio logico, che però non pubblica per timore che sia
fraintesa e strumentalizzata.
Forse nelle loro
passeggiate il genio della fisica e il genio della logica parlavano
anche di donne. In quell’ambito avevano affinità e differenze.
Storie extraconiugali causarono il divorzio di Einstein dalla prima
moglie Mileva Maric. La seconda, Elsa Einstein in Lowenthal, cugina
di primo grado di Albert e a sua volta divorziata, quando diventò
Elsa Einstein, non si curò dello sfarfallare del cugino-marito e per
lui fu soprattutto una raffinata badante.
Gödel sposò Adele,
una divorziata cattolica più anziana di lui che faceva la ballerina
in un locale notturno di Vienna dall’insegna programmatica: “La
falena”. La coppia rimase unita fino alla fine. Adele seppe essere
più di una badante: fu un supporto sicuro contro le fragilità del
compagno. Quando Adele morì, Kurt precipitò ancora più a fondo in
episodi allucinatori e comportamenti maniacali. Peraltro il grande
logico era così inflessibile da diventare illogico. Credeva nei
fantasmi, temeva di essere avvelenato, durante il colloquio per
ottenere la cittadinanza americana cercò di convincere il suo
interlocutore che la Costituzione americana conteneva una
contraddizione tale da rendere possibile la dittatura. Albert, più
pragmatico, lo dissuase dall’insistere.
Le vite di Einstein
e Gödel non furono parallele come quelle di cui scrisse Plutarco, ma
simmetricamente opposte. Einstein visse nel 1905 il suo anno magico
producendo in pochi mesi i lavori sull’effetto fotoelettrico (che
gli darà il Nobel), sul moto browniano (che confermò l’esistenza
degli atomi) e sulla relatività (che rifondò le leggi della
fisica). La relatività fu generalizzata nel 1916 e comprovata con
l’osservazione di un’eclissi di Sole nel 1919. Questi lavori
diedero a Einstein una popolarità immensa. L’anno magico di Gödel
fu il 1930, quando pubblicando il teorema di incompletezza rifondò
la matematica, ma nonostante questo formidabile risultato Gödel
rimase pressoché sconosciuto.
Tra i due spiccavano
anche differenze di comportamento. Einstein aveva un aspetto
trasandato, Gödel indossava giacca, cravatta, cappotto scuro e
cappello Borsalino. Einstein amava la musica colta, Gödel le
canzoncine del film “Biancaneve e i sette nani”. Einstein parlava
con tutti, Gödel a stento con se stesso.
Però tra loro
Einstein e Gödel parlavano. Di che cosa esattamente non sappiamo.
Pare di politica, di fisica, di filosofia, del più e del meno. Di
Gödel, oltre al genio, Einstein apprezzava l’irriverenza. Kurt era
l’unico che avesse il coraggio di dargli torto, per questo motivo
Albert considerava un privilegio conversare con lui.
L’aneddoto più
bello su Kurt Gödel è di Albert Einstein che diceva di essere
andato a Princeton «solo per avere il privilegio di camminare
insieme a Gödel sulla via di casa».
Fonte:
https://www.lastampa.it/2019/04/23/scienza