mercoledì 18 dicembre 2013

E’ Natale, Non uccidete quella Tacchina!

Quella di nonna Giovanna poteva dirsi una fattoria in piena regola, con tanto di galline, capre, maiali e una grossa tacchina, che sembrava essere stata allevata con premura per sfamare un intero battaglione.
Vigilia di Natale. La casa di nonna Giovanna, nella campagna brianzola, era già piena: Pietro, il più grande, sposato con Rosetta, e i loro tre figli Lorenzo, Francesco ed Elena di 7, 5 e 2 anni; Chiara, moglie di Giovanni, e la figlia Ludovica di 7 anni; la zia Fabiana e il marito Marco, i due fratelli vedovi del nonno Roberto, con i tre cugini.
“Dobbiamo sbrigarci, Roberto! Cosa facciamo per la cena? “
Gli animali erano tutti lì a guardarla accigliati, come a dire: “Io non c’entro”. Il maiale guardò l’unica tacchina presente: “Sono affari tuoi…”
Tutti gli altri girarono gli sguardi accusatori dritti su di lei.
La tacchina chinò la testa, come una rea che accetta la sua condanna.

Accasciatasi nell’angolo della terrazza, nessuno poteva percepire in lei alcun’ansietà, nemmeno nel palparla tra le sue intimità per sapere se era abbastanza grassa.
Tutti la guardavano, ma lei sembrava indifferente, come se riflettesse su qualcosa di non strettamente connesso con il momento presente.

Percepì il complotto. Prima di darsela “a zampe”, guardò con occhio di sfida i suoi aguzzini.
Altro che accettare il verdetto…
Improvvisamente gonfiò il petto, fece vibrare i bargigli rossicci e penduli come orecchini, aprì le ali e cercò di spiccare un volo maldestro, ma veloce, verso il tetto della cuccia di Fido.
Tutti la guardarono con una sola preoccupazione: la cena natalizia stava scappando via.
Soltanto Ludovica le fece un sorriso complice e le strizzò l’occhio, prima di vederla scappare.
Sull’improvvisato rifugio si sentiva un arredo fuori posto. Intanto, pensava ad ogni possibile via di salvezza o di fuga.
Il nonno costernato, essendo chiara l’imminente volatilizzazione di quella che avrebbe dovuto costituire il piatto forte del cenone natalizio, convocò la famiglia per una riunione straordinaria. S’imponeva la ricerca di un’  alternativa alla transfuga.
Pietro, il figlio più grande e con un numero maggiore di cuccioli da sfamare, prese la decisione: afferrato un bastone, si mise sulle tracce della fuggitiva.
Con un salto raggiunse il soffitto della casetta ma la tacchina, guardinga, prese con urgenza un’altra destinazione.

La persecuzione si fece più intensa. Correvano l’uno dietro l’altra. Quando sembrava che la tacchina stesse per farcela, spinta da un’inusitata forza selvaggia di lottare per la sopravvivenza, cosa tutta nuova per la sua apatica razza, l’astuzia umana ebbe il sopravvento.
Ridotta all’angolo di una via senza uscita, bastò un salto e… zac…!
Pietro, con un grido di conquista, l’aveva acchiappata.
Il grasso volatile trasalì e si consegnò, senza più opporre resistenza, nelle mani del carnefice.
Sola, tremula e irrigidita dal terrore, la tacchina non capiva che cosa la rendesse così preziosa per gli umani.
Loro erano in tanti e lei, povera diavola, pesava soltanto 7 chili, fra pelle, piume e carne… non sarebbe stata più adatta una vacca, o quel brutto porco che sembrava sorridere soddisfatto quando l’avevano scelta? Non, volevano proprio lei!
Ma era sola, senza padre, senza madre…
Fu portata come un trofeo e sbattuta sul tavolo di cucina: la cena era stata recuperata.
Tutti applaudirono.

Ma improvvisamente, la tacchina emise un urlo strozzato e… scodellò un uovo, forse prematuro.
- Un uovo! Lei ha fatto un uovo, mamma! – gridò Ludovica con la voce roca per l’eccitazione.
E la bestiola rimase accovacciata a proteggere il suo cucciolo, aprendo e chiudendo gli occhi, come se volesse sfruttare il suo stato di puerpera per evitare la pena capitale.
Nessuno, però, sembrava esserne colpito. Erano tutti alle prese con coltello, sale, pepe, intenti nei preparativi della sospirata cena.
Fu circondata: coltelli alla mano.
Ludovica assisteva alla scena, atterrita.
- No, nonna, non ucciderla! – gridava.
La famiglia era divisa.
        Non vede che lei ci vuole bene? Ha fatto persino un uovo, nonna!
- Ma, tesoro, è solo una tacchina, non ha sentimento…
- Sì, nonna, lei vuole vivere per stare con noi”
E intanto accarezzava la testolina dondolante della tacchina, che la guardava intenerita.
I presenti assistevano alla scena imperterriti e anche scocciati dal prolungarsi di quelle inutili smancerie.
Giovanni, però, vide due lacrime spuntare negli occhi della bambina, mentre sua moglie Chiara si soffiava discretamente il naso col risvolto del grembiule.
Sembrava la veglia di un funerale.
- Dài, andiamo, dobbiamo spennarla. Passami l’acqua bollente, Rosetta! - concluse la nonna per porre fine a quella drammatica scena dai toni shakespeariani.
Giovanni sollevo la testa, respirò profondamente, fece due passi in avanti come se stesse per iniziare il solito discorso natalizio:
- Se uccidi quella povera tacchina, mamma… - tirò su col naso – “non mangerò più tacchini, mai più in vita mia”.
- Ma cosa sta succedendo in questa casa? Da quando il mondo è mondo, l’uomo mangia i tacchini e noi non siamo un’eccezione, persino Gesù Cristo li mangiò…
- Gesù mangiava pesci e pane, mamma.
- Anche i tacchini, dicono le sacre scritture. –

Cercava di mettere in mezzo una sua versione dei vangeli, quasi ad assolvere tutti quanti si sentissero in colpa.
- Anche io lo giuro: i tacchini, non li mangerò mai più in vita mia!” – ribadì Ludovica, asciugandosi le lacrime.
- Ma, andiamo, che cosa significa tutto ciò?- domandò la nonna irritata, dopo aver guardato la pendola - Se volete fare saltare la cena, e va bene. Non attribuite però la colpa a me.”
Mollò il coltello sul tavolo vicino alla tacchina, che girò la testa per guardarlo, aggiungendo un sospiro affettato.
 - Mi sembra che in questa casa siamo tutti impazziti! – continuava la nonna - Una riunione familiare straordinaria, anzi due, per decidere della vita di una tacchina che ha fatto un uovo. Per carità. Come se qui stessimo per uccidere Barack Obama… Ma fatemi il piacere. Io non ci sto” - continuava a gridare nonna Giovanna, sventolando il coltello in aria.- Vado a preparare quella maledetta tacchina perché tra poco si mangia e non se ne parla più”.
- Noooooo! Le voci si alzarono all’ unisono.
- Aspetta Giovanna! - ordinò la zia Fabiana, avvertendo in lei una leggera indecisione nel vibrare il primo colpo. – Dobbiamo ragionare. Perché non prendiamo un tacchino dal macellaio, così lo possiamo mangiare in santa pace, senza doverci sporcare le mani col sangue di un’ innocente??

-          Oh…ma non ci posso credere! Che tragedia… qui ci vuole uno psicoanalista… altro che macellai!
In quel preciso momento, nonno Giuseppe, stufo di tanto battibeccare, si assentò senza che fosse visto, rientrando subito dopo con un grosso pacco in mano.
- “Basta! Basta polemiche, per amor del cielo! Ecco qui la cena di  Natale. Lasciate stare questa povera tacchina. – disse con un tocco d’emozione nella voce. – Non vorrei che ci venisse un’indigestione, dopo tante colluttazioni.


Ludovica, ogni giorno dopo la scuola, passava per salutarla. La nonna aveva adesso un atteggiamento riverente nei confronti di “Aggraziata” - come la tacchina fu chiamata, da quella fatidica sera.
La tacchina passò dalla condizione di condannata a quella di “patrona” della famiglia.
La tacchina, ignara dei motivi che avevano portato a quel  cambiamento, continuava ad essere sospettosa, dopo la traumatica esperienza, e a tenere all’erta le sue due uniche speranze di sopravvivenza: l’apatia e, soprattutto, la difesa… ehm… (quasi) personale!



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